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Messa in ricordo di san John Henry Newman

Messa con S.E. Mons. Giampietro Dal Toso in ricordo del compleanno di san John Henry Newman

Due giorni prima del compleanno del grande Santo inglese (*21 febbraio 1801) tanti amici di Newman hanno partecipato a una Celebrazione eucaristica presieduta da S.E. Mons. Giampietro Dal Toso, Presidente delle Pontificie Opere Missionarie, nella Basilica di Sant’Andrea delle Fratte all’altare della Madonna del Miracolo. 

Questo santuario mariano, affidato alla cura dei Frati Minimi e caro a Newman, si trova accanto al Palazzo di Propaganda Fide. I dieci concelebranti e i numerosi fedeli provenienti da vari Paesi hanno ringraziato il Signore per la vita, il pensiero e la testimonianza luminosa di Newman, affidando nel contempo le grandi intenzioni della Chiesa e del mondo alla sua intercessione. 

L’Arcivescovo Dal Toso ha evidenziato nella sua omelia, a partire dall’esempio di Newman, l’importanza di un lavoro teologico, che è un raccontare Cristo agli uomini: “un lavoro che ha bisogno della fede per essere fecondo, e che ha bisogno della ragione per restare lucido” (cfr. sotto: testo integrale dell’omelia).

Un giovane organista e una scola di suore della Famiglia spirituale “L’Opera” hanno reso i canti e gli inni del Santo una vera lode a Dio. P. Hermann Geissler, FSO, Direttore del Centro Newman, ha presentato una nuova novena con meditazioni profonde di Newman, distribuendola a tutti i partecipanti. 

Dopo la Messa gli amici di Newman sono stati accolti da due segretari delle Pontificie Opere Missionarie nel Palazzo di Propaganda Fide. Hanno ricevuto la benedizione individuale con una reliquia di Newman nella Cappella, in cui si trova l’altare sul quale questi ha celebrato la sua prima Messa da sacerdote cattolico.

Testo integrale dell’omelia di S.E. Mons. Giampietro Dal Toso

Cari fratelli e sorelle, 

ci troviamo in questa chiesa, all’ombra del Palazzo di Propaganda Fide, che ha visto maturare e compiersi la vocazione al ministero presbiterale del santo John Henry Newman. I luoghi ci aiutano a farne memoria, per penetrarne sempre meglio il pensiero. 

La parola di Dio di oggi ci aiuta in questo senso. Abbiamo sentito nella prima lettura la nota riflessione di san Giacomo sui pericoli che la lingua, pur essendo un piccolo muscolo, nasconde. Tuttavia l’apostolo ci ricorda che questa stessa lingua può servire a benedire e a maledire. Se è vero che dobbiamo fare attenzione a non maledire, la lingua ha la grande funzione di aiutarci a benedire Dio, cioè a dire bene di Lui. Perché possiamo dire bene di Dio? Perché possiamo lodarlo? Perché, direi, il nostro primo movimento verso di Lui deve essere quello della benedizione? Per il bene che Dio ci ha fatto e che ci continua a fare. La sua benedizione verso di noi, il suo amore quotidiano, sono la ragione per la nostra quotidiana benedizione a Lui. è bene aprire costantemente il nostro sguardo all’azione benevola di Dio verso di noi, verso ciascuno personalmente, per imparare a benedirlo. E lo benediciamo non solo nel rapporto diretto con Lui, ma anche nel nostro rapporto con gli altri, quando siamo chiamati a testimoniare Dio con la nostra parola. La nostra bocca parla dalla pienezza del cuore. Un cuore grato per l’azione di Dio, parla bene con Lui e di Lui.

Il parlare dell’azione di Dio è realizzato anche dagli apostoli. è vero che oggi il Signore, dopo la Trasfigurazione, chiede loro di non raccontare il fatto, se non dopo la resurrezione; ma dopo la resurrezione essi sono stati realmente dei testimoni con la parola di quanto avevano visto e udito, e in particolare della resurrezione di Cristo. Come dice bene san Giovanni all’inizio della sua prima lettera: “Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”.

Il raccontare l’opera di Dio, il raccontare la resurrezione di Cristo e l’esperienza di Lui risorto ci portano diritti al cuore della teologia intesa come riflessione su quanto rivelato e dunque alla persona del Cardinale Newman che oggi ricordiamo. E su questo, tra le tante, ho due sollecitazioni da proporre. 

La prima: ogni teologia può essere autentica solo se parte da un racconto personale della propria esperienza di fede. La teologia non può essere puro esercizio del pensiero, perché non può obbedire semplicemente a logiche umane, ma nella sua essenza nasce dalla rivelazione. Così il lavoro del teologo nasce dalla rivelazione vissuta in forma personale, cioè nasce dalla fede in Colui che si rivela. Senza questa esperienza personale della fede rischiamo di sviluppare una teologia che insegue le fuggevoli necessità del momento o si contorce in sistemi autoreferenziali. Bene ha riassunto il card. Newman la sua visione in quella bella sentenza: Cor ad cor loquitur. È il cuore di Cristo che si rivela e ci interpella e suscita a sua volta la reazione del nostro cuore, inteso biblicamente come centro della personalità. è questo rapporto di esperienza personale, intimo, sincero, che fornisce vita alla riflessione teologica e le permette peraltro di radicarsi nella storia concreta. Perciò anche per Newman l’esperienza è un dato oggettivo che precede le categorie mentali e che consente alla riflessione di non ripiegarsi su se stessa in un puro idealismo, tanto più la riflessione teologica. 

Il raccontare questa esperienza ha bisogno di parole. La teologia ha bisogno di parole. Può sembrare paradossale affermare una cosa del genere, ma sono sempre più convinto della necessità di concentrarci sul fatto che ogni dialogo ha bisogno della parola. Anche e soprattutto il dialogo di Dio con l’uomo è passato attraverso la grande Parola che è Cristo. Anche nel Vangelo di oggi il Padre dice riguardo al Figlio: “Ascoltatelo!”. La nostra parola deve essere pensata, misurata, precisa, circoscritta, per non essere ingannevole, equivoca, fuorviante. Tanto più la parola è determinata, tanto più dice la verità ed evoca la verità. Per tale motivo esiste un rapporto tra parola e realtà, al punto che la parola accade e fa accadere, perché performativa. 

La necessità della parola come veicolo della verità ci rimanda all’indispensabile aiuto che la filosofia offre alla teologia, proprio per rendere la parola chiara e il discorso logico e così rendere più accessibile il mistero. Come il suo ispiratore Agostino, anche il cardinale Newman ha conosciuto la filosofia del suo tempo ed ha cercato di rispondere alla filosofia del suo tempo, perché sapeva qual era l’ambiente culturale in cui l’uomo di allora viveva. Penso che anche oggi dobbiamo recuperare la stima per la filosofia, necessaria per articolare con parole e rendere comprensibile e dunque orientato al vero il discorso teologico. Il mistero vuole manifestarsi e noi siamo chiamati a dargli un contorno sempre più chiaro mediante una parola intellegibile. 

Ecco, penso che oggi, al di là dei singoli contenuti della sua opera, il cardinale Newman ci possa fornire questo grande quadro nel quale iscrivere il lavoro teologico, che è un raccontare Cristo agli uomini: un lavoro che ha bisogno della fede per essere fecondo, e che ha bisogno della ragione per restare lucido. A voi che coltivate in particolare questa grande figura di santo e di pensatore il compito che questo grande quadro possa fungere da riferimento anche per la riflessione teologica di oggi. Amen.