P. Hermann Geissler FSO
La conversione missionaria e la sete di anime
Papa Francesco - Madre Julia Verhaeghe
Papa Francesco chiama tutti i fedeli a una profonda conversione missionaria: “Ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e delle conseguenze importanti. Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una semplice amministrazione. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno stato permanente di missione” (n. 25).
Vogliamo prendere sul serio questo pressante invito di Papa Francesco, che riprende a modo suo l’impegno di Papa Benedetto per la nuova evangelizzazione. Non è nostro compito parlare di questioni circa le riforme strutturali ai vari livelli della Chiesa. Ci concentriamo invece sullo spirito missionario che deve animare ogni nostra giornata e ogni nostra attività. Su questa scia, cerco di presentarvi alcune semplici riflessioni sulla “sete di anime”, tanto importante per Madre Julia e in piena sintonia con il desidero del Santo Padre per un rinnovato impegno missionario.


2. La sete di Gesù
Mi limito a menzionare due passi del Vangelo di Giovanni che parlano della sete di Gesù.
Al pozzo di Giacobbe Gesù, stanco del viaggio, chiese alla donna samaritana: “Dammi da bere” (Gv 4,7). Gesù ebbe sete, ma non solo di acqua. Disse, infatti, alla samaritana: “Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna. Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua” (Gv 3,13-15). Il Signore ha sete di anime, ha sete per la sete degli uomini. Vuol dare a tutti quell’acqua che zampilla per la vita eterna, l’acqua del suo amore. Solo se gli uomini hanno sete di quest’acqua, sono aperti a riceverlo, a rinnovarsi nel fiume della sua acqua (pensiamo al battesimo) e a vivere in Lui, non solo in questa vita ma anche in quella che non avrà fine.
Sulla Croce Gesù disse: “Ho sete” (Gv 19,28). I soldati compresero questa parola letteralmente: “posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca” (Gv 19,29). Ma con questa parola Gesù aprì il suo cuore e lasciò vedere il desiderio più profondo del suo amore: è la sete di salvezza degli uomini. Dall’altare della Croce, dove Gesù offre la sua vita in sacrificio per ciascuno di noi, egli guarda ciascuno di noi – non con rimproveri, ma con amore e con la sete di salvarci, con la sete di accoglierci nella vita eterna.
Ecco, che cosa significa la sete di Gesù: è il suo amore salvifico verso ciascuno di noi, il suo desiderio di dare agli uomini l’acqua che zampilla per la vita eterna, la sua voglia di farci felici in questa vita e in quella che non avrà fine.
Il nostro mondo è un mondo egoistico. Non si pensa agli altri. E non si pensa alla vita eterna. È questo un duplice ostacolo a condividere la sete di Gesù, la sete di anime, che significa proprio questo: avere a cuore l’anima del prossimo e la sua chiamata alla vita eterna. Ciò non significa disinteressarsi delle vicende di questo mondo. Al contrario, sappiamo che chi comprende la sua chiamata alla vita eterna sa che deve comportarsi rettamente in questo mondo per giungere alla sua meta eterna. Dobbiamo ritrovare la gioia di avere una vocazione alla vita eterna, dobbiamo imparare nuovamente di guardare al cielo e di impegnarci perché gli altri non perdano di vista questa grande vocazione. Siamo infatti chiamati ad aiutarci a vicenda su questo cammino, a incoraggiarci, a sostenerci, a correggerci, a illuminarci – tutto questo significa condividere la sete di Gesù.

Papa Francesco offre poi quattro motivazioni per fortificare la sete di anime, per rinnovare l’impegno missionario:
La prima motivazione è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto e che ci spinge a farlo conoscere agli altri. “Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli, riconosciamo questo sguardo d’amore che scoprì Natanaele il giorno in cui Gesù si fece presente e gli disse: «Io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48). Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita! Dunque, ciò che succede è che, in definitiva, «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo» (1 Gv 1,3). La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri” (n. 264).
È quindi fondamentale il rapporto personale con il Signore: un rapporto di amicizia profonda, di abbandono fiducioso, di luce fortificante. Solo se Gesù ci tocca con il suo amore, sentiamo nel proprio cuore la sete di anime.

2. Il piacere spirituale di essere popolo
La missione è una passione per Gesù. Ma nel contempo è anche una passione per il suo popolo, perché la sete del suo cuore riguarda tutti. “Quando sostiamo davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo tutto il suo amore che ci dà dignità e ci sostiene, però, in quello stesso momento, se non siamo ciechi, incominciamo a percepire che quello sguardo di Gesù si allarga e si rivolge pieno di affetto e di ardore verso tutto il suo popolo” (n. 268).
Il Santo Padre tocca qui un altro punto fondamentale: la Chiesa, anche nei nostri Paesi, deve diventare più missionaria, perché siamo nuovamente terra di missione. “La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (n. 273).
Il Signore rimane con noi, non solo nel Tabernacolo, ma anche nel fratello e nella sorella che si trova nel bisogno. “Ogni essere umano è oggetto dell’infinita tenerezza del Signore, ed Egli stesso abita nella sua vita. Gesù Cristo ha donato il suo sangue prezioso sulla croce per quella persona. Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione. Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi!” (n. 274).
Talvolta non vediamo niente di questi germogli di bene e la fecondità del Signore risorto sembra invisibile. Ma nella fede abbiamo la certezza che lo Spirito del Risorto rimane sempre con noi rende fecondi i nostri sforzi: “non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!” (n. 280). La fiducia nell’azione misteriosa del Risorto e del suo Spirito rinvigorisce la nostra sete di anime.
C’è una forma di preghiera che stimola particolarmente a spenderci nell’evangelizzazione e a mantenere viva la sete di anime: è l’intercessione, la preghiera per gli altri. La nostra preghiera deve essere ricolma di persone: famigliari, amici, colleghi, vicini, pastori, giovani, anziani, coppie, persone in difficoltà, non credenti, ecc. “I grandi uomini e donne di Dio sono stati grandi intercessori. L’intercessione è come ‘lievito’ nel seno della Trinità. È un addentrarci nel Padre e scoprire nuove dimensioni che illuminano le situazioni concrete e le cambiano. Possiamo dire che il cuore di Dio si commuove per l’intercessione, ma in realtà Egli sempre ci anticipa, e quello che possiamo fare con la nostra intercessione è che la sua potenza, il suo amore e la sua lealtà si manifestino con maggiore chiarezza nel popolo” (n. 283).
Come possiamo vivere la “sete di anime” nella nostra vita concreta? Non è necessario aggiungere altre attività a quelle che già stiamo facendo. È importante invece riempire tutte le nostre attività, le nostre preghiere, i nostri impegni con quella attenzione, quella stima e quell’amore per l’altro che chiamiamo “sete di anime”. Come Gesù ha sete di noi e ci ama, anche noi siamo chiamati ad avere sete per le anime attorno a noi, e in tutto il mondo, perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cf. Gv 10,10).
