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Autore
P. Hermann Geissler FSO

La conversione missionaria e la sete di anime

Papa Francesco - Madre Julia Verhaeghe

Siamo nel mese di ottobre, dedicato tradizionalmente alla Madonna del Rosario e anche alla grande sfida della missione. Ora, ai nostri giorni anche Europa è nuovamente terra di missione. E noi tutti siamo chiamati a essere “missionari” là dove viviamo e lavoriamo. Questa chiamata sta molto a cuore di Papa Francesco. Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium il Santo Padre scrive: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù… In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (n. 1).
 

Papa Francesco chiama tutti i fedeli a una profonda conversione missionaria: “Ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e delle conseguenze importanti. Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una semplice amministrazione. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno stato permanente di missione” (n. 25).

In un altro passo dello stesso documento il Santo Padre parla della necessaria riforma di tutte le strutture della Chiesa – parrocchie, comunità, diocesi e Santa Sede – e precisa: “La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del ‘si è fatto sempre così’. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori della proprie comunità… Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure. L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei Vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale” (n. 33).
 

Vogliamo prendere sul serio questo pressante invito di Papa Francesco, che riprende a modo suo l’impegno di Papa Benedetto per la nuova evangelizzazione. Non è nostro compito parlare di questioni circa le riforme strutturali ai vari livelli della Chiesa. Ci concentriamo invece sullo spirito missionario che deve animare ogni nostra giornata e ogni nostra attività. Su questa scia, cerco di presentarvi alcune semplici riflessioni sulla “sete di anime”, tanto importante per Madre Julia e in piena sintonia con il desidero del Santo Padre per un rinnovato impegno missionario.

Croce nella Cappella di Littlemore-Oxford
I. Sete di anime
 
Perché Madre Julia parlava della “sete di anime”? Cerchiamo di rispondere a questa domanda e di comprendere cosa si intende con la “sete di Gesù” e la “sete di anime apostoliche”.
 
1. Sete di anime nella vita di Madre Julia
 
Nella vita di Madre Julia la sete di anime è strettamente collegata con la speciale grazia che ella ricevette nel 1934, la grazia della Santa Alleanza con il Sacro Cuore e quindi il nucleo del Carisma de “L’Opera”.
 
Leggiamo nel libro “Ha amato la Chiesa”: “Per Julia l’anno 1934 ebbe un grande significato. La malattia la costrinse nuovamente a letto in casa dei genitori. Il giorno della Solennità del Sacro Cuore di Gesù le fu donata, attraverso una ‘luce piena di grazia’, una profonda esperienza con il Signore incoronato di spine. La passione di Gesù sulla croce e l’amore infinito del suo Cuore la toccarono nel profondo dell’anima. Un’indicibile tristezza l’avvolse e comprese che Gesù voleva legarla ancora di più al suo Cuore e che la chiamava ad una vita di donazione sponsale. Sentì l’invito a condividere la sua sete di anime... Julia accolse tale invito. Era per lei come se l’amore divino volesse prendere possesso del suo cuore. Invasa da quest’amore si offrì al Signore per il bene della Chiesa: ‘Il sì che diedi allora al Signore, era come una ‘Santa Alleanza’ con il Cuore di Gesù, che s’immola continuamente nel suo Corpo, la Chiesa’”.
 
In questa speciale grazia l’amore infinito del Cuore di Gesù aveva toccato l’anima di Julia. Sperimentò in qualche modo la sua passione, la sua corona di spine, la sua donazione senza limiti per ciascuno di noi. In quest’esperienza, così scrive, era “come se l’amore divino volesse prendere possesso del suo cuore”. E sentì la chiamata di offrire al Signore tutta la vita per condividere la sua sete di anime. Scrisse: “Fu come se venissi riempita da una sete inestinguibile di amare Gesù e di impegnarmi perché Egli fosse amato anche da altri…”. Fu quindi spinta ad amare Gesù in modo nuovo e di impegnarsi perché Egli fosse amato anche da altri. Fu riempita dalla sete di Gesù. Ma che cosa è la sete di Gesù?
»Fu come se venissi riempita da una sete inestinguibile di amare Gesù e di impegnarmi perché Egli fosse amato anche da altri…«
Madre Julia
"Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna." Gv 3,13-15

2. La sete di Gesù

Mi limito a menzionare due passi del Vangelo di Giovanni che parlano della sete di Gesù.

Al pozzo di Giacobbe Gesù, stanco del viaggio, chiese alla donna samaritana: “Dammi da bere” (Gv 4,7). Gesù ebbe sete, ma non solo di acqua. Disse, infatti, alla samaritana: “Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna. Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua” (Gv 3,13-15). Il Signore ha sete di anime, ha sete per la sete degli uomini. Vuol dare a tutti quell’acqua che zampilla per la vita eterna, l’acqua del suo amore. Solo se gli uomini hanno sete di quest’acqua, sono aperti a riceverlo, a rinnovarsi nel fiume della sua acqua (pensiamo al battesimo) e a vivere in Lui, non solo in questa vita ma anche in quella che non avrà fine.

Sulla Croce Gesù disse: “Ho sete” (Gv 19,28). I soldati compresero questa parola letteralmente: “posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca” (Gv 19,29). Ma con questa parola Gesù aprì il suo cuore e lasciò vedere il desiderio più profondo del suo amore: è la sete di salvezza degli uomini. Dall’altare della Croce, dove Gesù offre la sua vita in sacrificio per ciascuno di noi, egli guarda ciascuno di noi – non con rimproveri, ma con amore e con la sete di salvarci, con la sete di accoglierci nella vita eterna.

Ecco, che cosa significa la sete di Gesù: è il suo amore salvifico verso ciascuno di noi, il suo desiderio di dare agli uomini l’acqua che zampilla per la vita eterna, la sua voglia di farci felici in questa vita e in quella che non avrà fine.

 

3. La sete di anime apostoliche
 
Quando Madre Julia lasciò la casa paterna il 16 luglio 1941 sentì la chiamata del Signore e scrisse: “‘Dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre!’ (Sal 45,11) – ‘Seguimi!’ (Gv 1,43). La sete di anime di Gesù invadeva la mia anima e la disposizione al sacrificio era in me. In tutto ciò sentivo risuonare in me le parole del canto ‘Più presso a te, Signor’.”
 
Da sempre, le anime apostoliche hanno il compito, sulla sequela di Gesù, di offrire se stessi per gli altri, di immergersi nella sua sete per le anime. In realtà, tutta la Chiesa è apostolica – non solo nel senso che è fondata sugli apostoli, ma anche perché è chiamata a prolungare la missione – e possiamo anche dire la sete – di Gesù per gli uomini. In questo contesto, vorrei citare un passo del Decreto del Concilio Vaticano Secondo sull’apostolato dei laici: “Questo è il fine della Chiesa: con la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, rendere partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione, e per mezzo di essi ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo. Tutta l'attività del corpo mistico ordinata a questo fine si chiama «apostolato»; la Chiesa lo esercita mediante tutti i suoi membri, naturalmente in modi diversi; la vocazione cristiana infatti è per sua natura anche vocazione all'apostolato” (n. 2). Ogni cristiano è quindi chiamato a essere un apostolo nel suo ambiente. Ognuno di noi è chiamato a essere discepolo di Gesù e anche suo apostolo.
 
 
Come essere apostoli ai nostri giorni? Guardando a Gesù, condividendo la sua sete di anime. Questo significa innanzitutto vivere non per se stessi, ma per gli altri. Donarsi ogni giorno per gli altri. Pregare per gli altri. Soffrire per gli altri. Rendere testimonianza per gli altri. Questo “per gli altri”, “per la loro salvezza eterna” è il mistero della sete di anime.
In tal senso, Madre Julia scrisse a Padre Hillewaere: “Dio è buono, doniamoci a Lui senza riserva in questi tempi così difficili, doniamoci senza esitazione, senza limiti e con generosità! Potremo allora sentirlo, vederlo, farne esperienza nella vita che sboccia intorno a noi. Padre, desidero trasmettere questo agli alle consacrate (e anche alle altre persone, a noi tutti), perché siano afferrate dall’amore, dalla sete di donarsi, di dimenticarsi e di farsi tutto a tutti.”
 

Il nostro mondo è un mondo egoistico. Non si pensa agli altri. E non si pensa alla vita eterna. È questo un duplice ostacolo a condividere la sete di Gesù, la sete di anime, che significa proprio questo: avere a cuore l’anima del prossimo e la sua chiamata alla vita eterna. Ciò non significa disinteressarsi delle vicende di questo mondo. Al contrario, sappiamo che chi comprende la sua chiamata alla vita eterna sa che deve comportarsi rettamente in questo mondo per giungere alla sua meta eterna. Dobbiamo ritrovare la gioia di avere una vocazione alla vita eterna, dobbiamo imparare nuovamente di guardare al cielo e di impegnarci perché gli altri non perdano di vista questa grande vocazione. Siamo infatti chiamati ad aiutarci a vicenda su questo cammino, a incoraggiarci, a sostenerci, a correggerci, a illuminarci – tutto questo significa condividere la sete di Gesù.

»Dio è buono, doniamoci a Lui senza riserva in questi tempi così difficili, doniamoci senza esitazione, senza limiti e con generosità! Potremo allora sentirlo, vederlo, farne esperienza nella vita che sboccia intorno a noi. «
Madre Julia
II. Motivazioni per un rinnovato impulso missionario
 
Come possiamo ravvivare la sete di anime, come possiamo nutrire lo spirito missionario? Papa Francesco ha dedicato l’ultimo capitolo della Evangelii gaudium a questa domanda. Per me tale capitolo costituisce il cuore di tutto il documento. Prima di rispondere a questa domanda, il Santo Padre scrive che alcuni si consolano ”dicendo che oggi è più difficile”. Ma questa obiezione non regge: “dobbiamo riconoscere – così continua il Papa – che il contesto dell’Impero romano non era favorevole all’annuncio del Vangelo, né alla lotta per la giustizia, né alla difesa della dignità umana. In ogni momento della storia è presente la debolezza umana, la malsana ricerca di sé, l’egoismo comodo e, in definitiva, la concupiscenza che ci minaccia tutti. Tale realtà è sempre presente, sotto l’una o l’altra veste; deriva dal limite umano più che dalle circostanze. Dunque, non diciamo che oggi è più difficile; è diverso” (n. 263).
 

Papa Francesco offre poi quattro motivazioni per fortificare la sete di anime, per rinnovare l’impegno missionario:

1. L’incontro personale con l’amore di Gesù
 

La prima motivazione è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto e che ci spinge a farlo conoscere agli altri. “Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli, riconosciamo questo sguardo d’amore che scoprì Natanaele il giorno in cui Gesù si fece presente e gli disse: «Io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48). Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita! Dunque, ciò che succede è che, in definitiva, «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo» (1 Gv 1,3). La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri” (n. 264).

Sappiamo dalla propria esperienza che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa. Per questo il vero missionario non smette mai di essere discepolo: “sa che Gesù cammina con lui, parla con lui, respira con lui, lavora con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario. Se uno non lo scopre presente nel cuore stesso dell’impresa missionaria, presto perde l’entusiasmo e smette di essere sicuro di ciò che trasmette, gli manca la forza e la passione. E una persona che non è convinta, entusiasta, sicura, innamorata, non convince nessuno” (n. 266).

È quindi fondamentale il rapporto personale con il Signore: un rapporto di amicizia profonda, di abbandono fiducioso, di luce fortificante. Solo se Gesù ci tocca con il suo amore, sentiamo nel proprio cuore la sete di anime.

»Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci.«
Papa Francesco

2. Il piacere spirituale di essere popolo

La missione è una passione per Gesù. Ma nel contempo è anche una passione per il suo popolo, perché la sete del suo cuore riguarda tutti. “Quando sostiamo davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo tutto il suo amore che ci dà dignità e ci sostiene, però, in quello stesso momento, se non siamo ciechi, incominciamo a percepire che quello sguardo di Gesù si allarga e si rivolge pieno di affetto e di ardore verso tutto il suo popolo” (n. 268).

Il Santo Padre tocca qui un altro punto fondamentale: la Chiesa, anche nei nostri Paesi, deve diventare più missionaria, perché siamo nuovamente terra di missione. “La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (n. 273).

Il Signore rimane con noi, non solo nel Tabernacolo, ma anche nel fratello e nella sorella che si trova nel bisogno. “Ogni essere umano è oggetto dell’infinita tenerezza del Signore, ed Egli stesso abita nella sua vita. Gesù Cristo ha donato il suo sangue prezioso sulla croce per quella persona. Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione. Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi!” (n. 274).

 

»Solo se Gesù ci tocca con il suo amore, sentiamo nel proprio cuore la sete di anime.«
Evangelii Gaudium
3. L’azione misteriosa del Risorto e del suo Spirito
 
 
Spesso fidiamo troppo nelle nostre forze – e rimaniamo delusi perché le ingiustizie, le cattiverie, le indifferenze e le crudeltà nel mondo ci sembrano troppo grandi. E poi viene la tentazione di cadere nel pessimismo e nello scoraggiamento. Ma ricordiamo che Gesù Cristo ha trionfato sul peccato, sulla morte e sul diavolo. È veramente risorto e vive in mezzo a noi. In Lui dobbiamo porre la nostra fiducia. “La fede significa anche credere in Lui, credere che veramente ci ama, che è vivo, che è capace di intervenire misteriosamente, che non ci abbandona, che trae il bene dal male con la sua potenza e con la sua infinita creatività. Significa credere che Egli avanza vittorioso nella storia insieme con «quelli che stanno con lui … i chiamati, gli eletti, i fedeli» (Ap 17,14). Crediamo al Vangelo che dice che il Regno di Dio è già presente nel mondo, e si sta sviluppando qui e là, in diversi modi: come il piccolo seme che può arrivare a trasformarsi in una grande pianta (cfr  Mt 13,31-32), come una manciata di lievito, che fermenta una grande massa (cfr Mt 13,33) e come il buon seme che cresce in mezzo alla zizzania (cfr Mt 13,24-30), e ci può sempre sorprendere in modo gradito” (n. 278).
 

Talvolta non vediamo niente di questi germogli di bene e la fecondità del Signore risorto sembra invisibile. Ma nella fede abbiamo la certezza che lo Spirito del Risorto rimane sempre con noi rende fecondi i nostri sforzi: “non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!” (n. 280). La fiducia nell’azione misteriosa del Risorto e del suo Spirito rinvigorisce la nostra sete di anime.

4. La forza missionaria dell’intercessione
 

C’è una forma di preghiera che stimola particolarmente a spenderci nell’evangelizzazione e a mantenere viva la sete di anime: è l’intercessione, la preghiera per gli altri. La nostra preghiera deve essere ricolma di persone: famigliari, amici, colleghi, vicini, pastori, giovani, anziani, coppie, persone in difficoltà, non credenti, ecc. “I grandi uomini e donne di Dio sono stati grandi intercessori. L’intercessione è come ‘lievito’ nel seno della Trinità. È un addentrarci nel Padre e scoprire nuove dimensioni che illuminano le situazioni concrete e le cambiano. Possiamo dire che il cuore di Dio si commuove per l’intercessione, ma in realtà Egli sempre ci anticipa, e quello che possiamo fare con la nostra intercessione è che la sua potenza, il suo amore e la sua lealtà si manifestino con maggiore chiarezza nel popolo” (n. 283).

Conclusione
 

Come possiamo vivere la “sete di anime” nella nostra vita concreta? Non è necessario aggiungere altre attività a quelle che già stiamo facendo. È importante invece riempire tutte le nostre attività, le nostre preghiere, i nostri impegni con quella attenzione, quella stima e quell’amore per l’altro che chiamiamo “sete di anime”. Come Gesù ha sete di noi e ci ama, anche noi siamo chiamati ad avere sete per le anime attorno a noi, e in tutto il mondo, perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cf. Gv 10,10).

«quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo» (1 Gv 1,3)