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Seguire le tracce dei primi cristiani secondo san Paolo - parte II

Cosa significa vivere la fede? 

Il nome della nostra Famiglia spirituale “L’Opera” ricorda i suoi membri ed amici che sono chiamati a compiere l’opera della fede. Gesù infatti disse: “Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Questa fede, naturalmente, deve illuminare e trasformare tutta la vita. Cerchiamo di approfondire cosa significa vivere la fede in alcuni ambiti concreti della nostra vita, seguendo le tracce dei primi cristiani.

Nella relazione con gli altri

Paolo scrive ai Colossesi: “Deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore… Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e eletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione” (Col 3,8-10.12-13).

Queste parole sono chiare e concrete. Vivere la fede nella relazione con il prossimo significa dire “no” a comportamenti che non sono conformi al nostro essere cristiani: significa dire “no” all’ira, alla malizia, alla menzogna. Simili comportamenti, infatti, sono veleni per l’atmosfera, opprimono la fiducia vicendevole, mettono in pericolo l’unità fra di noi. La fede nel Signore Gesù, invece, esige da noi quei sentimenti che erano nel cuore di Gesù e devono essere nel cuore di coloro che hanno rivestito l’uomo nuovo nel sacramento del battesimo, i sentimenti cioè di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, di sopportarsi a vicenda, di perdono e soprattutto di amore. Dire “sì” a queste virtù non è sempre facile. Chiede il nostro impegno. Chiede la fiducia che il Signore non solo esige da noi di vivere in un certo modo, ma ci dà anche la grazia necessaria. Praticando queste virtù nei nostri ambienti familiari e comunitari significa appartenere talvolta a una minoranza, come i primi cristiani.

»Per mantenere lo spirito di unità dobbiamo avere tempo gli uni per gli altri.«

Proprio in questo modo possiamo essere testimoni – non soltanto con le nostre parole, ma anche e soprattutto con il nostro modo di comportarci, con la nostra unità vissuta nella fede e nell’amore. Un punto concreto vorrei ancora evidenziare: per mantenere lo spirito di unità dobbiamo avere tempo gli uni per gli altri. Nel nostro mondo agitato e nei molteplici impegni che abbiamo non è facile trovare spazi liberi. Ma dobbiamo avere il coraggio di dire talvolta “no” a impegni che sono di per sé buoni e importanti per donare un po’ di tempo al coniuge, ai fratelli, alle sorelle, agli amici. Ciò è di fondamentale importanza perché le nostre comunità siano veramente cellule di unità, di serenità e di pace.

Nella preghiera

Nella prima Lettera a Timoteo san Paolo raccomanda “che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità. Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tim 2,1-6).

Vorrei sottolineare due caratteristiche che emergono da questo testo e sono importanti per coloro che desiderano pregare con fede. (1) L’Apostolo parla non solo di domande e suppliche, ma anche di ringraziamenti. Certo, nella preghiera possiamo esprimere le nostre suppliche. Ma non dobbiamo dimenticare di ringraziare Dio per i tanti benefici che ci offre in continuazione: per la nostra vita, i nostri cari, i beni della terra, la bellezza della creazione, la fede, i sacramenti, la Chiesa, ecc. La preghiera di lode e di ringraziamento non deve mancare. (2) Paolo ci invita a pregare non solo per i nostri propri bisogni, ci raccomanda di pregare per tutti, per quelli che stanno al potere. Dobbiamo quindi pregare con un grande cuore, non solo per noi stessi, ma anche per la Chiesa intera, per il mondo, per i vivi e i defunti, ecc. Questa preghiera veramente “cattolica”, cioè universale, è un’espressione della nostra fede nel Signore Gesù che è morto per tutti e vuole la salvezza di tutti.

statua di san Paolo nel cortile della basilica di san Paolo, Roma

Nella tribolazione

Nella Lettera agli Efesini san Paolo parla della necessità di rivestirsi “dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo” (Ef 6,10). L’Apostolo ci ricorda che la vita di fede è un “combattimento spirituale”. Certo, crediamo che sulla croce il Signore ha vinto il peccato, la morte e il diavolo. Ma sappiamo, e l’esperienza di ogni giorno ne da prova, che le potenze delle tenebre cercano di distruggere l’opera del Signore. Dobbiamo imparare di nuovo che facciamo parte della Chiesa “militante”, della Chiesa cioè che non è ancora arrivata alla vittoria finale, che viene attaccata dalle insidie del diavolo ed è chiamata a combattere.

Paolo parla anche della “armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo”. Cosa appartiene a questa armatura spirituale? La cintura della verità che dobbiamo amare e conoscere bene; la corazza della giustizia che caratterizza l’uomo credente ed onesto; lo zelo per propagare il vangelo della pace; lo scudo della fede, con il quale possiamo difenderci contro gli attacchi del maligno; l’elmo della salvezza, che il Signore ci ha messo sul capo nel battesimo; e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. Insomma, il Signore ci offre tanti mezzi spirituali per il buon combattimento.

Come Paolo, i primi cristiani hanno combattuto il buon combattimento. Sapevano che la sequela del Signore era anche una buona battaglia, segnata da tribolazioni, persecuzioni e tante altre forme della croce, una battaglia che non potevano vincere con le proprie forze. Paolo pertanto scriveva ai Filippesi: “Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore” (Fil 2,12). Ma i primi cristiani sapevano anche che il Signore era sempre in mezzo a loro. Scrisse san Paolo ai medesimi Filippesi: “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi... Il Signore è vicino” (Fil 4,4-5).

Questa duplice convinzione dovrebbe essere anche segno delle nostre famiglie e comunità: la convinzione cioè che la nostra vita è da un lato una buona battaglia contro le insidie del male, dall’altro un cammino di fiducia e di gioia perché il Signore sta dalla nostra parte e non ci lascia mai. Pur non dimenticando che viviamo nel XXI secolo, occorre seguire le tracce dei primi cristiani, ringraziando per il dono della fede nel Signore Gesù e applicando questa fede nella vita comunitaria, nella preghiera e nel buon combattimento di ogni giorno.